All’inizio della mia carriera, ho approcciato la norma ISO 45001 attraverso la prospettiva di un tecnico. La vedevo come una robusta impalcatura di regole, procedure e audit. Per me, la sezione 7.4, sulla comunicazione, era un semplice punto da spuntare: stabilire canali, documentare flussi e assicurarsi che le direttive aziendali fossero trasmesse ai dipendenti.
Con il passare del tempo, ho capito come questa visione, seppur non sbagliata, fosse altamente incompleta. L’esperienza sul campo mi ha aperto gli occhi: la comunicazione per la sicurezza e la salute sul lavoro non è solo un atto di trasmissione, ma il fondamento di una cultura aziendale proattiva e partecipativa.
Ho imparato che il vero cuore della ISO 45001 non è la sua struttura, ma la sua anima: la partecipazione attiva e la leadership visibile. E il ponte che unisce questi due elementi è una comunicazione che va oltre le parole scritte per diventare un’azione strategica.
La fragilità di molti sistemi di gestione, ho scoperto, non stava nella mancanza di procedure, ma nella loro totale disconnessione dalla realtà. Le riunioni si trasformavano in monologhi, i verbali finivano dimenticati in qualche cassetto e i feedback dei lavoratori non andavano oltre la porta dell’ufficio. Il risultato? Un sistema di sicurezza che esisteva “sulla carta”, ma che non trovava riscontro nel comportamento quotidiano delle persone.
La svolta: da relatore ad ascoltatore
Il mio approccio è cambiato radicalmente quando ho iniziato a vedere la comunicazione come uno scambio bidirezionale, un vero e proprio dialogo piuttosto che una semplice trasmissione di informazioni. Ho scelto di prendere alla lettera un punto cruciale della ISO 45001: l’esplicita richiesta di stabilire processi per la consultazione e la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
Le strategie più efficaci si sono rivelate non le riunioni per presentare slide, ma quelle per fare domande. Invece di dire “Ecco le nuove procedure“, ho iniziato a chiedere: “Quali sono i pericoli che affrontate ogni giorno che noi non vediamo?”. Ho scoperto un mondo sommerso di rischi operativi non documentati, di near miss che non venivano segnalati per paura, e di soluzioni pratiche che i lavoratori avevano già trovato, ma che nessuno aveva mai chiesto loro di condividere.
Un esempio concreto mi ha illuminato: in una fabbrica metalmeccanica, l’azienda aveva investito in un costoso sistema di aspirazione delle polveri. Durante un sopralluogo, notai che alcuni operatori non lo utilizzavano. Invece di redarguirli, chiesi il motivo. La risposta di un operaio fu illuminante: “Il tubo si ostruisce facilmente e il rumore a fine turno è insopportabile. Preferiamo non accenderlo e usare la mascherina“.
Se mi fossi fermata alla comunicazione unilaterale, avrei imposto l’uso del dispositivo. Invece, il nostro dialogo ha aperto la strada a una soluzione pratica: abbiamo installato un sensore che avvisava l’operatore con una luce verde o rossa e fornito cuffie protettive più comode. Il risultato? Non solo abbiamo garantito la conformità, ma abbiamo anche ridotto realmente l’esposizione a rischi respiratori e acustici.
Questo approccio ha generato un profondo cambiamento culturale. Ho visto come la partecipazione diretta, un pilastro della ISO 45001, abbia trasformato i lavoratori da “esecutori” a “protagonisti”. Quando sono loro stessi a contribuire all’identificazione dei pericoli e alla definizione delle misure di controllo, la loro adesione non è un obbligo, ma un atto di responsabilità.
La comunicazione come fondamento della cultura della sicurezza
Se utilizzata in modo strategico, la comunicazione diventa lo strumento principale per costruire una cultura della sicurezza forte e solida. Non basta distribuire dispositivi di protezione o svolgere la formazione obbligatoria. È la leadership che, comunicando in modo trasparente e dimostrando un impegno autentico, dà il buon esempio e crea un ambiente di fiducia.
Un esempio pratico: dal “quasi-incidente” a una lezione condivisa
In un cantiere edile, un operaio ha segnalato un “quasi-incidente” (near miss). Un ponteggio non era stato fissato correttamente e, a causa del vento forte, aveva oscillato, rischiando di crollare. In passato, un evento del genere sarebbe stato ignorato o minimizzato.
Con la nuova gestione, invece, la segnalazione è stata gestita con un protocollo di comunicazione rapida:
- Il capocantiere è stato avvisato immediatamente.
- L’area è stata messa in sicurezza.
- La squadra si è riunita per una breve discussione sulla sicurezza.
Durante questo incontro, il lavoratore ha raccontato l’accaduto e, insieme, hanno identificato la causa principale (una procedura di controllo non rispettata). Il giorno dopo, l’episodio è stato comunicato a tutti i cantieri dell’azienda tramite una breve nota informativa (anonima e senza giudizi), trasformando un potenziale rischio in un’importante lezione per tutti.
Alcune buone pratiche di comunicazione proattiva che trasformano la sicurezza da un obbligo formale a una parte integrante della cultura aziendale.
Incontri rapidi e mirati
Molte aziende di successo iniziano ogni turno o giornata lavorativa con brevi riunioni di 5-10 minuti, chiamate “Safety Huddles” o riunioni operative. Il caposquadra non fa un monologo, ma pone domande aperte:
- “Oggi useremo la saldatrice. Quali sono i rischi che vedete e come li gestiamo?”
- “Ieri un collega ha quasi inciampato su un cavo. Come possiamo evitare che succeda di nuovo?”
Questo approccio non solo prepara i lavoratori ai compiti del giorno, ma li rende protagonisti nella prevenzione dei rischi. La sicurezza diventa una discussione quotidiana, non una formalità mensile.
Strumenti visivi e immediati
“Focus del mese” creare un’area dedicata a un tema specifico (ad esempio, “corretto utilizzo dei carrelli elevatori”) con promemoria visivi. Questi strumenti rendono la sicurezza chiara e accessibile a tutti, senza bisogno di leggere documenti complessi.
Un sistema di segnalazione semplificato
Molti lavoratori non segnalano i “quasi-incidenti” (near miss) perché le procedure sono complicate o per paura di ritorsioni. Una buona pratica consiste nel creare un sistema di segnalazione semplice e protetto. Un’azienda ha installato una “casella dei suggerimenti” digitale, accessibile tramite un’app interna e che garantisce l’anonimato. Le segnalazioni vengono esaminate da un team dedicato, e le azioni correttive intraprese sono condivise con tutti i dipendenti, dimostrando che ogni segnalazione è presa sul serio.
“Walk the Talk”: l’esempio dei leader
La comunicazione più efficace non si basa sulle parole, ma sulle azioni dei leader. I dirigenti e i responsabili della sicurezza che fanno regolarmente dei “tour” sul campo, parlano con i lavoratori, indossano gli stessi DPI e mostrano un interesse autentico per le loro mansioni, comunicano un impegno che nessuna circolare aziendale può eguagliare. Vedere il Leader che chiede a un operaio se il suo DPI è comodo o se la procedura è efficace, ha un valore inestimabile.
Formazione pratica e coinvolgente
La formazione sulla sicurezza spesso si limita a lezioni teoriche, con una comunicazione proattiva lo si integra con sessioni pratiche e interattive:
- Simulazioni sul campo: come usare un macchinario non funzionante per addestrare i lavoratori alle procedure di blocco e tag-out in un ambiente sicuro.
- Workshop collaborativi per condividere i lavoratori in piccoli gruppi per identificare i rischi in una specifica area di lavoro e proporre soluzioni, premiando le idee migliori.
Questo rende il processo di apprendimento più coinvolgente, assicurando che le informazioni non solo siano ricevute, ma anche comprese e interiorizzate.
Il futuro della sicurezza non è un documento, ma una conversazione
La sicurezza del futuro non sarà definita da un certificato appeso al muro, ma dalla qualità delle conversazioni che avvengono ogni giorno in azienda.
La vera innovazione, in questo contesto, non è tecnologica, ma umana. Non si tratta di installare sensori o software all’avanguardia, ma di costruire ponti di fiducia. È il coraggio di un operaio che segnala un rischio senza paura, è l’umiltà di un dirigente che si siede ad ascoltare chi è in prima linea, è l’intelligenza collettiva che trasforma un “quasi-incidente” in una lezione preziosa per tutti.
Vista con questa prospettiva, la ISO 45001 non è un traguardo da raggiungere, ma una direzione da seguire. È la bussola che ci indica come trasformare la sicurezza da un obbligo formale a un valore condiviso, intrinseco e vitale. L’azienda più sicura non sarà quella con il manuale più spesso, ma quella dove ogni persona si sente parte attiva e ascoltata, dove la comunicazione è il respiro stesso dell’organizzazione.
di Roberta Tedoldi, Partner KS Certification Sagl